Questa è una domanda che da un lato nasce spontaneamente e comprensibilmente in chiunque si rivolga ad uno psicoterapeuta.
Tuttavia la durata non è prevedibile a priori, nel senso che questo dipende da una molteplicità di fattori il cui peso non si può stabilire in modo assoluto.
Ad esempio la durata dipenderà da aspetti come: il grado di sofferenza della persona, la sua disponibilità a mettersi in discussione, le sue risorse, la competenza dello psicoterapeuta, la qualità dell’alleanza tra il paziente e lo psicoterapeuta, gli obiettivi del percorso su cui si concorda di lavorare, gli accadimenti nella vita del paziente, l’età del paziente (un bambino e un adolescente sono più flessibili di un adulto e sono, per fase di vita, anche in naturale trasformazione; sovente cambiano più velocemente e quindi una psicoterapia a lungo termine è meno frequente in infanzia o in adolescenza).
Un percorso psicologico non è una cura antibiotica che ha effetti abbastanza prevedibili in un tempo dato. E a volte non è neppure così per un antibiotico! Se il nostro corpo è complesso, la nostra mente lo è molto di più.
Questo non significa per me non fare delle verifiche insieme ai miei pazienti di come sta andando la psicoterapia: non dei test, ma delle riflessioni e delle considerazioni chiare su ciò che è cambiato, ciò che sta cambiando e ciò che non sta cambiando, interrogandoci sulle ragioni e, da parte mia nel caso, mirando meglio l’intervento.
Un percorso che si concluda semplicemente per via della scomparsa dei sintomi porta con sé il rischio che i sintomi si ripresentino nella stessa forma o in forme diverse, specie se non c’è stato il tempo necessario per fare un lavoro significativo sulle ragioni che stanno alla base della nascita del sintomo stesso.