Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a coloro che sognano di notte soltanto
(Edgar Allan Poe)
Tu puoi dirmi che sono un sognatore, ma non sono il solo
( John Lennon)
L’adolescenza è una fase della vita in cui i dubbi su se stessi, gli interrogativi sulla propria identità, l’insoddisfazione per il proprio corpo, le tensioni con i genitori possono costituire dei momenti di transizione che nulla hanno di patologico.
Tuttavia in alcuni casi questi aspetti assumono un peso eccessivo, provocando stati di sofferenza che si protraggono troppo a lungo o che si estendono fino a invadere la vita dell’adolescente.
Il periodo dell’adolescenza è particolarmente fecondo rispetto al cambiamento ed è contemporaneamente un momento critico rispetto alla direzione che prenderà il processo di costruzione della personalità. Come se entrare in crisi profonda in adolescenza ponesse di fronte al bivio tra la possibilità di sviluppare una struttura personale solida da un lato e il rischio di un estendersi e di un amplificarsi dei punti di fragilità da un altro lato. Tutto dipende da come ci si pone come adolescenti di fronte al proprio stato di crisi e a come reagiscono i propri genitori alla crisi.
D’altro canto pensare di farsi aiutare da qualcuno in adolescenza è sovente particolarmente costoso a livello emotivo. Tutti tesi verso l’acquisizione e il riconoscimento da parte degli altri della propria indipendenza, nella necessità di prendere temporaneamente le distanze in qualche modo dai propri genitori per potersi differenziare da loro: come coniugare tutto questo con l’incontro con una persona che comunque fa parte del mondo adulto da cui si vorrebbe per tanti aspetti affrancarsi?
L’ambivalenza (cioè desiderare e non desiderare al tempo stesso) nel chiedere aiuto e nel lasciar intendere o nel mostrare il proprio stato di bisogno è quindi particolarmente comprensibile in questa fase della vita.
Con gli adolescenti trovo utile e proficuo integrare la psicoterapia psicodinamica con l’approccio psicoterapeutico EMDR
sia lavorando su aspetti della storia di un/a ragazzo/a che l’hanno secondo lui/lei segnato/a emotivamente, sia lavorando su momenti del presente in cui l’adolescente si sente bloccato, o angosciato, o impaurito, o triste, o arrabbiato, o vuoto , … Nel percorso è anche però fondamentale aiutare un/un’adolescente a individuare le proprie risorse, a rafforzare quelle presenti e a sviluppare quelle necessarie ma in qualche modo mancanti.
Le aree di intervento di cui mi occupo rispetto agli adolescenti
Se è l’adolescente che chiede una consulenza psicologica tra i temi di sofferenza (non sto parlando di diagnosi ma di segnali importanti di stati di sofferenza, il cui senso va compreso caso per caso) ci possono essere:
- crisi rispetto alla propria identità (chi sono? cosa provo? non mi riconosco più!);
- crisi rispetto al proprio progetto di vita (non so in che direzione andare, non so cosa voglio);
- stati di isolamento (sono completamente chiuso in me stesso, non me la sento di uscire di casa, tutto mi terrorizza)
- traumi (ad esempio: traumi singoli come incidenti per cause umane o naturali, traumi sessuali vissuti nell’infanzia o nell’adolescenza, maltrattamenti fisici, lutti vissuti nell’infanzia o in adolescenza, traumi “minori” ma condizionanti lo sviluppo della personalità). Sul tema vedere anche Curare il trauma: la psicoterapia EMDR;
- disagio nelle relazioni con i coetanei (sono timidissimo, mi arrabbio con tutti, non conto per nessuno; nessuno mi ascolta, non riesco a farmi degli amici, non sto più bene con gli amici di sempre);
- sofferenze in campo amoroso (sono stato lasciato, nessuna mi vuole, ho il terrore del sesso);
- disagio rispetto al proprio corpo (non mi piaccio per nulla, mi sento grasso, ho questo difetto che non riesco ad accettare, sono cambiato e non mi accetto come sono ora);
- dubbi sulla propria identità sessuale (non so se sono attratto dalle ragazze o dai ragazzi, faccio pensieri su quelli del mio stesso sesso, ho paura di essere gay, ho paura di essere lesbica);
- tensioni con i genitori (non mi capiscono, non sanno quello di cui ho bisogno, mi trattano come un bambino, invadono i miei spazi, non mi lasciano crescere, non li sopporto più, sono assenti, sono tutti presi dalle loro litigate);
- problemi a scuola (non mi importa nulla della scuola, non mi piace quello che faccio, non riesco a dimostrare che sono capace, non riesco a concentrarmi, sembro stupido, non so cosa mi piace né cosa scegliere);
- angosce e paure (ho il terrore di stare da solo, mi blocco, ho il terrore dei giudizi);
- ossessioni (non riesco a non pensare a queste cose che mi vengono in mente senza che io possa controllarle, mi lavo le mani in continuazione, accendo e spengo la luce in continuazione);
- pensieri autodistruttivi (ho pensato di suicidarmi, penso di farmi del male);
- gesti autodistruttivi (più evidenti come i tentati suicidi o più sfumati come l’anoressia) (ho tentato di uccidermi, mi ferisco, non mangio, vomito di proposito, sono spericolato, mi faccio, bevo);
- somatizzazioni ossia stati di malessere fisico per cui è stata constatata (ad esempio dal medico curante, dal pediatra o dallo specialista) l’assenza di una causa organica alla base (ho sempre mal di testa, mi brucia lo stomaco, mi si irrita la pelle);
- rabbia (sono pieno di rabbia, sovente perdo il controllo, odio tutti, salto su come una molla).
Se sono i genitori che chiedono una consulenza psicologica per il figlio adolescente tra i temi di sofferenza ci possono essere molte delle problematiche appena segnalate, naturalmente con la differenza di ottica che possono avere i genitori rispetto al diretto interessato. É opportuno distinguere quattro situazioni:
- Il figlio adolescente sa della richiesta dei genitori allo psicologo ed è d’accordo ad incontrarlo. In questo caso i genitori e il ragazzo sono concordi quantomeno rispetto al fatto che ci sia uno stato di crisi da prendere in considerazione; poi può ovviamente differire il modo in cui leggono la situazione.
- Il figlio adolescente sa della richiesta dei genitori allo psicologo e non è contrario ad incontrarlo anche se ritiene che non vi sia nessuna problematica di tipo psicologico che lo riguardi. In questo caso può essere spinto ad incontrare comunque lo psicologo per semplice curiosità o per capire cosa pensino i genitori di lui, come mai lo vedano in modo così diverso da come si percepisce lui. Secondo quanto emergerà nel corso del/dei primo/i colloquio/i, l’adolescente individuerà con lo psicologo degli aspetti su cui deciderà che valga la pena soffermarsi, oppure no.
- Il figlio adolescente non sa della richiesta dei genitori allo psicologo. In tale caso è importante che i genitori arrivino in qualche modo a parlargliene, spiegandogli la loro preoccupazione. Questo può poi far approdare la domanda rivolta al clinico alla prima situazione, alla seconda o viceversa alla quarta.
- Il figlio adolescente sa della richiesta dei genitori allo psicologo ma non è assolutamente disponibile ad incontrarlo. In tale caso, il tipo di lavoro potrà essere una consulenza ai genitori rispetto al loro rapporto con il figlio. Ciò non esclude che in futuro il ragazzo possa cambiare posizione e decidere di incontrare uno psicologo, quello contattato dai suoi genitori o un altro se ha bisogno di un territorio più neutro. In particolare nel caso di una differenza di vedute tra genitori e figlio, può essere che i genitori si allarmino e si preoccupino per una situazione che nulla ha in sé di patologico ma che è più connessa alla difficoltà di padre e madre di confrontarsi con il processo di crescita del proprio figlio (figlio che man mano è meno sotto il loro controllo e la loro sfera di influenza, che non possono più proteggere come facevano quando era bambino). Oppure viceversa la differenza di visione tra genitori e figlio rispetto alla situazione del ragazzo può essere il segno di una giusta preoccupazione di padre e madre che si accompagna ad una significativa difficoltà per il ragazzo di riconoscere il proprio stato di disagio.